L’arroganza e la Nemesi della cybersecurity

È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza. Socrate

Il maggior problema dell’arroganza umana risiede nella sua capacità di oscurare il giudizio, limitando la nostra visione del mondo e delle sue infinite possibilità. L’arroganza ci induce a credere di possedere tutte le risposte, rendendoci ciechi alle domande che ancora non abbiamo formulato. In questo stato di auto-inganno, l’arroganza impedisce l’apprendimento, poiché chi si crede onnisciente non vede motivo per cercare nuova conoscenza o ascoltare prospettive diverse dalla propria. L’arroganza umana isola l’individuo, separandolo non solo dagli altri, ma anche dalla ricchezza dell’esperienza umana e dalla verità stessa.

L’arroganza nella cybersecurity può essere vista come un duplice filo di spada che taglia profondo nelle fondamenta della sicurezza informatica. Nell’odierna società digitale, dove le minacce alla sicurezza si evolvono costantemente, l’arroganza di credersi invulnerabili può portare a conseguenze disastrose. Questo atteggiamento, infatti, non solo limita il campo visivo riguardo le potenziali minacce ma ostacola anche l’innovazione e l’apprendimento continuo, indispensabili in un campo così dinamico.

Credere di aver già capito tutto o considerare le proprie difese impenetrabili è un invito aperto agli attaccanti. Questi ultimi, sempre in agguato, sono pronti a sfruttare ogni punto debole, ogni presunzione di invulnerabilità. In questo senso, l’arroganza diventa una barriera invisibile che impedisce di vedere la realtà per com’è veramente: un campo di battaglia digitale in costante evoluzione.

Nella mitologia greca, Nemesi (Νέμεσις, lat. Nemĕsis) rappresenta la dea della giustizia retributiva e quindi punitiva che colpisce anche coloro che peccano di hybris (arroganza). L’arroganza innesca delle reazioni che “puniscono” coloro che ignorano i principi di prudenza e continua evoluzione, elementi chiave e proprio come Nemesi insegue coloro che hanno peccato di superbia, così le conseguenze dell’arroganza tendono a ricordarci l’importanza dell’umiltà e della vigilanza costante.

L’hybris rappresentava un concetto fondamentale che andava oltre il semplice orgoglio e l’eccesso di autostima. Era considerata una forma di tracotanza, un atteggiamento di estrema arroganza e disprezzo verso gli dei, verso la legge divina e verso gli altri esseri umani. L’hybris si manifestava quando un individuo superava i limiti imposti dalla saggezza e dalla moderazione, sfidando l’ordine cosmico e attirando così la punizione degli dei.

Un esempio classico di hybris è rappresentato dal mito di Icaro, il giovane che, avendo ottenuto delle ali fatte di piume e cera da suo padre Dedalo, ignorò i suoi avvertimenti di non volare troppo vicino al sole. Guidato dall’eccessiva fiducia nelle sue capacità, Icaro si avventurò sempre più in alto, fino a che il calore del sole non sciolse la cera delle sue ali, facendolo cadere nell’Egeo e causandone la morte. Questo mito mette in evidenza il pericolo dell’arroganza e della mancanza di rispetto per i limiti imposti dalla natura e dalla saggezza.

L’hybris non era solo condannata nell’ambito religioso e mitologico, ma anche nella filosofia greca. Gli antichi filosofi, come Socrate, Platone e Aristotele, lo consideravano come una forma di ignoranza morale e di mancanza di autocontrollo. Essi sostenevano che l’arroganza fosse il risultato di una mancanza di conoscenza di sé e della propria posizione nell’universo, e che portasse inevitabilmente a conseguenze negative sia per l’individuo che per la comunità.

Nel contesto della cybersecurity, il concetto di hybris assume un’importanza particolare. L’arroganza degli individui o delle organizzazioni nel credere di essere invulnerabili può portare a gravi conseguenze, proprio come nel mito di Icaro. Ignorare i rischi e non adottare misure adeguate di protezione può causare violazioni della sicurezza, perdite di dati sensibili e danni finanziari.

Quindi, comprendere il contesto storico e concettuale dell’hybris ci aiuta a cogliere appieno l’importanza di combattere l’arroganza e promuovere una cultura di umiltà e consapevolezza nella cybersecurity. Solo adottando una mentalità aperta, consapevole dei nostri limiti e rispettosa delle norme e delle buone pratiche, possiamo sperare di proteggere efficacemente i nostri sistemi e le nostre informazioni nell’era digitale.

Contrariamente all’arroganza, l’umiltà si rivela essere una virtù preziosa nel dominio della cybersecurity. Essere umili significa riconoscere che, non importa quanto si sia esperti, c’è sempre spazio per imparare qualcosa di nuovo. Questo atteggiamento apre la porta all’innovazione e al miglioramento continuo delle strategie di difesa. L’umiltà permette di rimanere vigili, di mettere costantemente in discussione le proprie conoscenze e di ascoltare opinioni diverse, anche quando sembrano contraddire il proprio punto di vista.

Qualche personaggio di altri tempi direbbe che nel campo della cybersecurity, così come nella guerra, la conoscenza è potere.

Ma questa conoscenza non può essere statica; deve evolversi insieme alle minacce che cerca di contrastare. La realtà digitale è una tela vasta su cui si dipingono quotidianamente nuovi scenari di attacco e difesa. Solo adottando una mentalità aperta e umile, si può sperare di rimanere al passo con questo ritmo incessante. In questa direzione diventa ancora più fondamentale promuovere una cultura dell’apprendimento continuo e del confronto costruttivo. Sviluppare ambienti in cui il fallimento non sia visto come una debolezza, ma come un’opportunità per crescere e migliorare significa anche abbracciare un dialogo aperto e la diversità di opinioni, elementi chiave per costruire difese informatiche più resilienti e efficaci.

Esistono diverse declinazioni dell’arroganza, queste sono solo alcune:

Il negatore: questo individuo rifiuta di accettare l’idea che possa essere vulnerabile, crede che le misure di sicurezza in atto siano più che sufficienti e vede ogni aggiornamento o revisione come una perdita di tempo.

Il saccente: convinto di conoscere ogni aspetto della cybersecurity, spesso rifiuta consigli credendo che nessuno possa insegnargli qualcosa di nuovo.

Il visionario: questa personalità è talmente concentrata sulle grandi idee e innovazioni future da trascurare le basi della sicurezza, valuta la cybersecurity come ostacolo alla creatività e all’innovazione.

Il compiacente: si trova in una posizione di conforto derivante da successi precedenti e assume che le strategie di sicurezza che hanno funzionato in passato saranno sempre efficaci.

L’isolazionista: si tratta di chi preferisce lavorare in silos, ritenendo che la collaborazione e la condivisione di informazioni possano solo indebolire la propria posizione o rivelare vulnerabilità.

In ogni declinazione dell’arroganza, troviamo un filo conduttore comune: una resistenza al cambiamento, una chiusura verso l’esterno e un’incapacità di vedere oltre il proprio orizzonte. Nel contesto della cybersecurity, queste caratteristiche possono tradursi in vulnerabilità non solo per l’individuo arrogante ma per ogni micro e macro sistema a cui appartiene.

La vera forza risiede nella capacità di adattarsi e imparare continuamente e nella gran parte dei campi cosi come nella cybersecurity, questa è non solo una virtù ma una necessità.

Paola Giannetakis

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